Photo by: Giorgio Sacher
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La filosofia della
materia
in Paolo Di Nozzi
Baruch Spinoza identifica la sostanza con Dio. Con ogni evidenza la materia è sostanza. E quindi in alcun modo si trova ad essere gerarchicamente sottoposta o inferiore alle manifestazioni dello Spirito. Anzi per dire meglio anche la materia è spirito. Della semplicità rivoluzionaria di questo orizzonte di senso Paolo di Nozzi è un convinto assertore. Ho sempre pensato che il suo essere un “chimico” molto avesse a che vedere con una precisa visione del mondo, della natura e dell’arte. Che cos’è infatti la chimica se non la disciplina che studia le proprietà e la struttura intima della materia?
Se si parte da questo presupposto, non appare per nulla stravagante che questo artista abbia dedicato una lunga parte della sua vita alla Chimica, per poi rivolgersi all’arte. Come non è affatto stravagante il rapporto fra arte e medicina e fra arte e scienza. Se si riflettesse un po’ su questi principi (ma oggi chi ha più tempo di riflettere…), vi sarebbero a disposizione molti più anticorpi per resistere all’infezione scientista e tecnicista, interessata ad esasperare la divisione sistematica del fare e del sapere. Nel nostro tempo, proprio come una pandemia, questa infezione ha vinto. E infatti non esistono più visioni del mondo capaci di competere con l’arroganza del pensiero unico mercatista e tecno-scientista. A parte le risposte irrazionali e grottesche dei terrapiattisti, dei negazionisti e dei no-vax.
Al centro dell’investigazione e del lavoro plastico di Paolo Di Nozzi, quindi, c’è la materia, in tutte le sue forme e varianti. Ad essa viene attribuita un’importanza che nulla ha a che vedere con una finalità puramente strumentale e meccanica. Al contrario, dalla materia l’Autore intende estrarre la spiritualità che le è propria. Così facendo, forse senza volerlo, evoca e insieme falsifica un apparente paradosso: nel senso comune, infatti, la materia è contrapposta allo spirito. Ecco, si potrebbe dire, in estrema sintesi, che l’intera ricerca di questo autore è volta a dimostrare il contrario. Tutta la sua fatica sembra orientata a smontare il dualismo oppositivo, spirito/materia, dal quale trae origine la parte prevalente del pensiero occidentale.
Il superamento del dualismo, che da Platone a Cartesio fino a noi, ha imposto la sua ermeneutica ha consentito a Paolo Di Nozzi di fare poesia con delle molle d’acciaio, che potrebbe apparire una cosa bizzarra. E invece non lo è. E non solo per gli esperti – che conoscono la storia dei materiali di recupero in arte (Ettore Colla ne fu maestro assoluto) e sono estimatori del Poverismo d’autore – ma anche per quelli che esperti non sono e rimangono ugualmente sedotti dalle imprevedibili volute metalliche di Di Nozzi che sfidano lo spazio e – anzi – lo arruolano in forme plastiche espressione fedele del migliore Informale.
Lo scultore ci spiega che, fra i vari materiali che utilizza nella realizzazione delle sue sculture (reti, tubi, plastiche, gomme), le molle d’acciaio, usate o rotte, sono le sue preferite. Lo sono per la capacità di sprigionare una loro residua energia che, nelle forme che assume, dipende in larga misura dall’usura subita nel tempo. Non materiali inerti e passivi da usare per i propri scopi quindi. Ma invece interlocutrici – se così si può dire – fornite di un’autonoma e apparentemente ossimorica vitalità (che cos’è la vitalità di un materiale apparentemente inerte come l’acciaio, infatti, se non un ossimoro?).
Nel confrontarsi – un po’ come fa Vulcano – con la materia, Paolo Di Nozzi è testimone partecipe del mito di Eros e Thanatos: le polarità entro le quali la vita si produce, riproduce, termina e rinasce. Allo stesso modo l’autore restituisce e indirizza la forza rigenerata della materia da lui scelta. Ma la relazione comunicativa con essa non è un comizio. L’acciaio non si limita ad ascoltare passivamente ma dice la sua: inter-agisce. E così ogni opera di Di Nozzi è la rappresentazione plastica della dialettica che si sviluppa fra lui e la materia. È sorprendente constatare, tuttavia, come la complessità di questi eventi si risolva, alla fine, nella semplicità eloquente di opere d’arte che si offrono come perle, tenute assieme da un filo. Questo filo è la ricerca quotidiana di un vero scultore che con l’energia di un giovanotto è alla ricerca quotidiana del capolavoro.
In questo spendersi, anche fisicamente, ancora una volta Di Nozzi oggettivamente fa filosofia. Dimostra infatti che non c’è pensiero senza azione, né azione senza pensiero. Prassi: teoria: prassi scriveva il corrusco tedesco dalla folta barba. Materia: spirito: materia, ogni giorno, nello studio di questo autore, si fondono in un processo unitario capace di produrre forme seducenti. L’approccio alle sue opere comunque può esprimersi anche senza disporre di manuali interpretativi filosofici. La potenza dell’arte, quella del nostro autore nel caso di specie, ha questo di mirabile: rendere semplice la complessità. Arrivare a meta con uno sguardo. Le curve ambiziose delle molle di acciaio di Paolo Di Nozzi rendono questo viaggio, non solo possibile, ma oltremodo appagante.
Roberto Gramiccia
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